L’Italia che incontro attorno alle presentazioni di «Riscatto mediterraneo».
Trieste, frontiera orientale. Città incastrata tra la fine del mare e la roccia calcarea del contrafforte carsico. Destinata a recitare la parte del baluardo, dell’avamposto ultimo, della migliore, della più valorosa, davanti al nemico dell’epoca che puoi scorgere a occhio nudo.
Città di martiri sacrificati sull’altare della Patria minacciata dall’imperialismo austro-ungarico, prima, e dal cancro nazi-fascista, poi; baluardo della libertà e del pensiero occidentale a pochi passi dalla zona rossa del socialismo jugoslavo; cuscinetto all’implosione dei Balcani, di cui si ricorda in questi giorni il ventennale del massacro dei massacri, quello di Srebrenica; e infine, secondo alcuni, potenziale passo di transito per i mercenari del jihadismo globale, che avrebbe in un paio di villaggi bosniaci alcune delle sue filiali di reclutamento[1].
Non solo: Trieste deve anche interpretare la sua funzione di periferia del Belpaese, dove si incrociano le influenze di almeno tre culture, italica, germanica e slava, e deve dunque dimostrare di produrre il meglio della cultura maggioritaria che ospita. Una grande responsabilità, dunque, per la provincia più piccola d’Italia, dove anche l’arrivo alla stazione ferroviaria ti fa vivere l’emozione dell’ultimo binario, dopo aver lasciato alle spalle la laguna di Grado e i boschi dei pendii scoscesi che la chiudono da ogni lato.
Mentre risaliamo in auto con Giulio D’Agostini, uno dei giovani membri dell’associazione RIME, verso il colle di san Giusto, attraversiamo luoghi carichi di memoria che questo golfo adriatico non può contenere da solo: i palazzi neoclassici di epoca austriaca sul fronte mare, piazza Unità d’Italia (1879), il molo Audace (che prende il nome dalla prima nave della Marina italiana che entrò nel porto di Trieste alla fine della prima guerra mondiale), l’asilo – nido ebraico «Marco Tedeschi» (la città fu sede di una delle maggiori comunità ebraiche italiane), il monumento ai caduti della guerra di liberazione (riferendosi alla prima guerra mondiale, il monumento essendo di epoca fascista). Sarà al Centro giovani (che qui chiamano «ricreatorio»[2]) del colle di san Giusto che parleremo di Mediterraneo e immigrazione. La spianata del colle, tra la cattedrale che conserva mosaici bizantini e il castello già voluto da Federico II, è una galleria all’aperto di lapidi che onorano il valore patriottico: attira la mia attenzione quella dei rastrellatori di mine e bombe che operarono tra il 1945 e il 1954.
Essere attivisti politici in questa città significa innanzitutto fare i conti con la Storia, e RIME, acronimo che sta per «Responsabilità, Impegno, Memoria e Educazione», nasce nel 2011 proprio contro la cultura del «menefreghismo», della rimozione, dell’indifferenza, prendendo esempio dalla rete We Care[3] che trae ispirazione dall’insegnamento di don Lorenzo Milani. Don Milani scrisse nella Lettera ai giudici[4]: «Dovevo ben insegnare come il cittadino reagisce all’ingiustizia. Come ha libertà di parola e di stampa. Come il cristiano reagisce anche al sacerdote e perfino al vescovo che erra. Come ognuno deve sentirsi responsabile di tutto. Su una parete della nostra scuola c’è scritto grande: “I care”. È il motto intraducibile dei giovani americani migliori. “Me ne importa, mi sta a cuore”. È il contrario esatto del motto fascista: “Me ne frego”».
Sono giovanissimi, e soprattutto rigorosi fino al dettaglio. Si costituirono in associazione prendendo il testimone del presidio «Ilaria Alpi-Miran Hrovatin» di Libera Trieste, e iniziarono a interpretare la realtà attraverso le lenti di cittadinanza, legalità, giustizia e antimafia sociale. Organizzarono laboratori con associazioni bosniache e serbe, per poi lanciarsi in una carovana sociale, Italiani che (R)esistono, quando partirono in ventiquattro e raggiunsero Palermo in dieci giorni, percorrendo 3.500 km con due pulmini e un’auto. Durante quella carovana, raccolsero le testimonianze di italiani che resistono nel quotidiano alle spinte che cercano di ostacolare l’affermazione della legalità e della giustizia sociale. Poi si lanciarono in Libera in Gol, un torneo di calcio tenuto nel quartiere napoletano di Scampia insieme alle organizzazioni locali, per infine partire in una seconda carovana di conoscenza nei Balcani l’anno scorso, Ad Est – Il dono della Storia. Passo a Giulia Ometto, una di loro, informazioni su attivisti e gruppi critici della società bosniaca, e lei si ripromette di contattarli. Sono curiosi, non convenzionali, e si fanno tante domande, si interrogano su quanto succede dentro il Paese e oltre la frontiera. Il nostro incontro sul Mediterraneo fa parte di una serie di incontri di approfondimento che propongono alla gioventù e agli studenti della loro città. Marco Simeon, il loro animatore, mi aveva scovato su Internet e mi aveva invitato. La loro missione è di darsi delle ragioni e non cedere alla tentazione di «fregarsene».
Nonostante Trieste sia una città solidamente in mano al Centrosinistra, amministrata bene, educata, non si buttano in veloci sentenze sbrigative, non prendono la realtà per come appare essere. Quando ceniamo in pizzeria, ad esempio, la conversazione volge verso il fenomeno dei Grillini, che in Friuli-Venezia-Giulia e a Trieste alle Politiche del 2013 divenne il primo partito per consensi raccolti.
«Sono partiti con il piede sbagliato. Persero un’occasione d’oro quando potevano fare un governo di rottura con Bersani, e le occasioni non tornano più» azzardo io.
«Sì, però dobbiamo tornare indietro nel tempo. Grillo volle prendere la tessera del PD per candidarsi alle Primarie, quella volta in cui vinse Pier Luigi Bersani su Dario Franceschini, nel 2009, ma non gli permisero di farlo. Fu solo dopo questa chiusura che scelse l’alternativa frontale» risponde Matteo Roiz.
«E la Debora Serracchiani?[5]» chiedo ancora.
Ne lodano lo spirito di iniziativa e l’energia politica, ma uno di loro aggiunge: «Al momento dell’investitura aveva dichiarato che la politica regionale e l’impegno per la propria comunità erano la sua grande missione, poi è scomparsa dalla circolazione». È questo il loro stile, discernere, confutare e esplorare.
Si diceva di Trieste, la rigorosa. Il proprietario del Bed & Breakfast in cui alloggio, il Decò, registra il declino: «Questa città aveva investito nel cinema, vi erano festival di rilievo, si promuoveva la produzione cinematografica… Ora niente, la città sta arretrando, non vi è più vivacità culturale» racconta sconsolato mentre mi serve la colazione. «Pensa che al Liceo classico, ormai, vi sono classi di otto studenti. La gente non iscrive più i propri figli a scuole che insegnano a pensare con la propria testa, sono ossessionati dall’imperativo del trovare un lavoro che ti faccia guadagnare, e allora li mettono negli istituti alberghieri e nelle scuole tecniche» impreca. Poi, parlando in dialetto, imita uno di questi genitori e dice: «Senò no i magna mica e i rischia de diventar dei comunisti!».
Leggendo Il Piccolo, il quotidiano locale, non è facile accorgersi di quel presunto malessere. Sull’edizione del 26 giugno si annuncia che il cartellone degli eventi culturali cittadini di quest’estate ne offrirà ben cento e cinquanta, che è in arrivo un piano regolatore per i contenitori culturali, e si informa che la mostra sulla Grande Trieste allestita nell’ex-Pescheria ha riscosso molto successo di pubblico. Quando ci passiamo vicino, Giulio mi spiega però che la sua trasformazione in spazio espositivo non ha funzionato, e la città ha perso quella peculiarità di vendere pesce in un palazzo nello stile eclettico dei primi del Novecento. Nel frattempo, la città perde un altro lucido testimone, il sociologo di origine algerina Khāled Fouād ʿAllām, che era ormai dal 1994 tra i professori più lucidi dell’Università di Trieste… Comunque si pensi di Trieste la rigorosa, i giovani di RIME continueranno nella loro missione di interrogare le coscienze, buttando un occhio al Belpaese e un altro oltrefrontiera, discernendo, confutando e esplorando.
«L’autentica cultura non è cumulo di nozioni bensì capacità di critica e autocritica, passione e distanza» scriveva recentemente il triestino Claudio Magris[6].
Sul treno da Pescara per Bologna, luglio 2015.
[1] La rivista Il venerdì di Repubblica del 17 aprile 2015 pubblica in copertina una foto che mostra l’addestramento di alcuni combattenti islamici, e il commento scritto dice: «La Jihad dietro l’angolo. Questa foto risale a vent’anni fa, ma oggi in Bosnia l’islamismo radicale è ancora più forte. Siamo andati a vedere come cresce a 500 chilometri da Trieste». La settimana seguente la pubblicazione della rivista, sono stato a Tuzla, poco distante dal villaggio che invia giovani a combattere per lo Stato Islamico, ed ho investigato: la foto non si riferirebbe all’addestramento della resistenza bosniaca durante la guerra degli anni ‘90, perché le divise non sono le stesse che usavano i combattenti in quell’epoca, e l’islamismo radicale oggi è rifiutato e osteggiato dalla stragrande maggioranza della comunità musulmana bosniaca. Tant’è… Se devi recitare la parte del baluardo sulla linea di frontiera, il nemico lo devi talvolta caricaturare: ed ecco i 500 km da Trieste, l’immagine del fiato sul collo.
[2] I ricreatori comunali sono un’istituzione di antica tradizione triestina, in quanto sorti nei primi anni del Novecento e caratterizzati da un’impostazione rionale e laica.
[3] Per saperne di più: http://democraziadiretta.jimdo.com/.
[4] Scritta il 18 ottobre 1965 in difesa dell’obiezione di coscienza e di chi la pratica.
[5] È la presidentessa della Regione, esponente renziana.
[6] C.Magris, «Perché siamo diventati così ignoranti», in Corriere della Sera, 26 febbraio 2014.